I ragazzi di oggi non hanno alcuna cultura musicale. Non conoscono neanche la cultura musicale occidentale, quella che abbiamo ogni giorno nelle orecchie. Figuriamoci se ci spostiamo verso oriente o nell'altro emisfero. E questo è davvero incredibile, vista la finestra sul mondo rappresentata dalla rete.
Non parlo di epoche differenti dalla nostra; basterebbe conoscere un po' meglio la musica del '900. Eppure in pochi sanno distinguere un semplice "giro di do", da una nenia buddista, una scala araba da una ballata dell'est europa, una pentatonica da un popolare cajun. Ma nemmeno un moderno rhythm&blues da un soul o un hiphop da un scat-singing piuttosto che da un vocalese, e per molti il jazz è incomprensibile plim-plim. Ma diciamoci la verità: è una cosa che accomuna molti, da parecchio tempo. Non solo i più giovani.
D'altronde, sono passati più di quarant'anni da quando Vecchioni (o chi per lui), prese un tradizionale gallese, ovviamente sconosciuto dalle nostre parti, originariamente eseguito con le cornamuse, lo fece suonare a un violino e lo mise come intro della sua Samarcanda. Ovviamente nessuno gli ha mai detto "Uela ti, mi sa che hai sbagliato fuso orario". Perché questo? Forse perché si crede che Samarcanda sia in provincia di Catanzaro. E a quanto pare, incredibile anche solo pensarlo, pochi sanno distinguere la cultura uzbeka (turco-persiana) da quella gallese (celto-britannica non anglosassone) e chi lo sa fare, delle canzonette se ne frega.
Tornando ai ragazzi di oggi, potremmo dire che se la musica non è materia di studi (a parte scuole di musica e conservatori), è pacifico che ne siano totalmente ignoranti. E questo vale anche per le generazioni passate. Sembra che per i vari ministri dell'istruzione, che si danno il cambio a ogni giro di maggioranza, la musica non sia cultura.
Eppure, la musica è identità, etnia, storia, tradizione, non solo cultura di un popolo. E' espressione individuale e collettiva all'interno di una data comunità. Secondo Platone, come la ginnastica serviva ad irrobustire il corpo, la musica doveva arricchire l'animo. Sarebbe davvero utile avere ameno un'infarinatura, almeno per sapere di cosa si parla, quando si parla di musica.
E invece, sono possibili storie bizzarre come la popolare "Bella Ciao" (che non è mai stata una canzone dei partigiani). Di chiara origine balcanica, è uno strumentale ottocentesco "preso in prestito da un canto dalmata" riferì Giorgio Bocca, ma da sempre ritenuto, a tutti gli effetti, "italiano". E nessuno ne riconosce la cadenza tipica della ballata slava. Anzi, klezmer, genere musicale tradizionale degli ebrei aschenaziti dell'est europa. Infatti, il documento più antico della nostra "canzone partigiana" per eccellenza, simbolo della Resistenza, è un'incisione del 1919, contenuta in un 78 giri del fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff.
Decisamente slava. Eppure un mio caro amico, ne intravedeva addirittura le "origine celtiche", roba da matti.
Ognuno la spara grossa, in mancanza di un'idea precisa. Le cose più comiche, spuntano fuori dai giornalisti che commentano Sanremo, totalmente sprovvisti di ogni conoscenza in materia, più attenti al costume che alla musica.
Al cantautore Francesco Gabbani, nella sua "Occidentali's Karma", bastò mescolare citazioni e qualche frase in inglese, per essere subito etichettato dai giornali come il nuovo Franco Battiato. Addirittura un compositore di quel calibro. Con il quale, l'unica cosa che Gabbani ha in comune, è aver avuto l'immeritato onore di aprirgli un paio di concerti.
Per l'esibizione di Achille Lauro con Fiorello a Sanremo 2021, i giornalisti hanno avuto il coraggio di titolare "Il quadro punk rock". Il punk? Ma che dicono? Qualcuno sa di cosa sta parlando? Tra Renato Zero e David Bowie, tra Marc Bolan e Alice Cooper, quello di Achille Lauro è stato un coinvolgente e spudorato spettacolo glam rock d'altri tempi, che non c'entra un tubo con il punk.
I gruppi punk non usavano costumi, li rifiutavano addirittura, ostentando la loro natura di emarginati, con i jeans sdruciti (non perché fosse una moda) fin dai primi anni '70. Inoltre, volutamente grezzi e poco tecnici come erano, suonavano decisamente malino, ma questo era comunque secondario.
Scrivere di musica, a quanto pare, è come cantare: nessuno salirebbe mai su di un palco a suonare il violino, se non dopo anni di studio. Cantare invece, sembra che basti aprir bocca e dare fiato. Tutti sanno guidare l'auto, ma i piloti che corrono su di una Formula Uno, sono un'altra cosa.
Quindi, di cosa si parla, quando si parla di musica?