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Metriche sanremesi

mar 08, 2021

Società: A chi interessa la metrica sanremese?

Prosodìa raffazzonata, accenti sbagliati, nessuno fa più caso a quello che alla SIAE era un tempo chiamato "testo letterario", quindi "concernente la letteratura". E la "tecnica della versificazione", la metrica, è diventata un'opinione.

Negli ultimi anni, quasi tutti i "giovani" partecipanti al Festival della Canzone Italiana (quello di Sanremo, questo dovrebbe essere), si preoccupa più di curare la composizione dei versi e delle strofe, preferendo puntare sul look. E nemmeno i Direttori artistici che ogni anno si danno il cambio alla guida del carrozzone festivaliero, stanno più a guardare ciò che sembra diventato un inutile e superato orpello. E chiamano sul palco i moderni "distruttori di metriche", o "decostruttori di significati".


Già negli anni scorsi avevamo assistito al trionfo di Mengoni, nonostante i discreti problemi di metrica ("appartengonò anche a te"). Ma nell'edizione del 2021 tutti si son dati da fare. Abbiamo avuto i vari Gaudiano (oltrè le nuvole, se mi guardò allo specchio), Madame (l'ultìmo soffio di fiato), Aiello (le cosè peggiori, tòrnare a scuola, ero fuorì da poco), e via dicendo, per non parlare dei vari rapper, trapper o pseudotali, che devono "far stare" la lingua italiana nelle veloci frasi di un genere nato con il monosillabico inglese.


Sono cambiati i tempi. Negli anni '50/'60/'70, la canzonetta che veniva eseguita su di un palco o in radio, poteva anche essere una menata, ma la metrica era sempre perfetta. Magari con qualche elisione, però gli autori erano persone serie, ci tenevano a non scrivere stupidaggini. I testi di Paoli, Mogol, Bindi, Tenco, Migliacci, Bixio, Fossati, Lavezzi e tutti i grandissimi autori degli anni passati, non contenevano sbavature. Potevano non piacere ma questi erano "testi letterari" a tutti gli effetti. Magari Dalla, ogni tanto inseriva "unà canzone" al posto di "ùna", ma è meno grave. Diciamo che unà è parente stretto del dialettale 'na, quindi, volendo, ci sta. Tutt'oggi alcuni cantanti "anzianotti" impongono metriche perfette ai propri autori (vedi Orietta Berti, tanto per fare un esempio).


Uno dei primi che se ne fregò fu Alan Sorrenti che nel '79 cantò "tu sei l'unìca donna per me". A quel unìca non ci ha mai prestato troppa attenzione nessuno, nemmeno i tanti che ne riproposero la cover.

Ma da lì in poi la cosa è tracimata, ha oltrepassato l'argine, fino ad arrivare al vandalo della metrica, lo sconquassatore di versi Max Pezzali, con i suoi "irrangiungibilè", "rìmbalza", "assèconda", "còmporta", e via distruggendo, lingua e significato.


Una volta chiesi a un amico autore (dilettante come me), perché mai nelle sue canzoni inserisse a forza delle parole che metricamente "non ci stavano", e per farcele stare bisognasse necessariamente alterarne gli accenti. Mi rispose che lui voleva dire quella cosa lì e non un'altra. Ma a ben vedere non la diceva. Dire "àncora" è diverso dal dire "ancòra".


Il passo successivo sarà l'alterazione degli accenti anche nella lingua parlata. "Ciaò, comè va? Sto àndando a sentirè Pèzzali, il miò idòlo".

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